Dries Mertens, ex attaccante del Napoli e miglior marcatore della storia del club, ha aperto il cuore in un’intervista all’Obi One Podcast condotto da Obi Mikel. Il racconto dell’ex numero 14 azzurro è un viaggio tra emozioni, aneddoti e affetti, a cominciare da quello più profondo: il legame con Napoli, così forte da aver ispirato il nome di suo figlio.
“Mio figlio si chiama Ciro,“ ha rivelato Mertens, “un omaggio alla città che mi ha adottato per nove anni”. Il piccolo è nato nell’ultima stagione del belga sotto il Vesuvio e, consapevole della sua imminente partenza, Dries ha voluto lasciare un segno indelebile di quell’esperienza. “All’inizio mia moglie era contraria,” ha spiegato, “poi ha capito che quel nome racchiudeva un pezzo della nostra storia”.
Oggi Mertens gioca nel Galatasaray, ma Napoli non è mai uscita dal suo cuore. La Turchia, racconta, offre un contesto diverso: “Il Galatasaray è conosciuto in tutto il mondo, ma a Napoli il calcio è una religione“, ha detto. E proprio la passione per il calcio ha avuto in Maradona un punto di svolta: “Ha fatto la storia portando il primo scudetto al Sud“, un’impresa che ha cambiato per sempre la percezione del club.
Con un sorriso amaro, Mertens ha scherzato sulla vittoria dello scudetto arrivata l’anno dopo il suo addio: “Grazie per avermelo ricordato!”, ha detto ironicamente. Ma non c’è rancore, solo orgoglio: “Abbiamo vissuto grandi notti di Champions, la vittoria con Spalletti è stata la chiusura perfetta del cerchio, con Osimhen e Kvaratskhelia protagonisti”.
Sul record di gol, Mertens ha ricordato il momento in cui Sarri lo reinventò attaccante centrale: “Non ero mai stato un vero centravanti. Poi Higuain andò via, Milik si infortunò, e Sarri mi disse: ‘Adesso giochi punta’. E da lì nacque tutto: 35 gol in una stagione“.
Mertens ha poi elogiato Sarri, definendolo “uno degli allenatori più spettacolari“: il suo calcio, ha detto, era talmente fluido che sembrava “il pallone ti cercasse per segnare“. E se c’è una squadra che ha ostacolato i sogni del suo Napoli, quella è la Juventus: “Con Chiellini, Tevez, Bonucci… erano esperti e cinici. Noi arrivammo a 91 punti, ma loro vinsero comunque lo scudetto”.
Tra le emozioni più forti, il gol preferito resta il cucchiaio al Torino: “Indimenticabile. Quel gesto tecnico e l’emozione dopo sono ancora vivi in me“. Oggi, a Istanbul, vive una nuova fase della sua vita, più serena. E resta legato a Victor Osimhen, con cui condivide non solo l’amicizia, ma anche un legame familiare: “Siamo vicini di casa qui, i nostri figli sono amici. È uno dei migliori attaccanti al mondo. Deve solo credere in sé stesso”.