La contestazione di domenica, 45 minuti di sberleffi e schiaffi all’orgoglio, ha evidentemente sortito qualche effetto. Proprio come la strigliata – diciamo così – che nello spogliatoio dell’U-Power hanno firmato Di Lorenzo, il capitano; Anguissa, un riferimento del gruppo per tanti o tutti; e Calzona, l’allenatore che raramente alza la voce. Che il tecnico prenda i panni sporchi, li ribalti, li stenda al muro e li lavi assolutamente e strettamente in famiglia è una cosa normale nel calcio. Come nella vita.
Ma dopo il primo tempo con il Monza, sotto di un gol nel punteggio e in genere con il morale sotto i tacchi per un rigore limpido negato e per aver sprecato almeno due chance super nonostante un eloquente 66% di possesso, sono venuti fuori i leader. E di conseguenza l’anima: è tornato il gruppo dello scudetto e anche il suo Napoli.
La squadra è rientrata in campo prima degli avversari, gli occhi di Osimhen sono diventati come il fuoco e la storia è cambiata: i colleghi hanno parlato e lui ha contribuito alla resurrezione ruggendo in campo. Sette sono le giornate che mancano al tramonto del campionato e all’ultima missione prima dei saluti di tutti quelli che andranno: centrare l’Europa per il quindicesimo anno consecutivo dal 2010. Unico club italiano a indossare questa medaglia. Un vanto. Un vanto che non è solo una consolazione, da difendere meglio di quanto non sia accaduto con lo scudetto. A scriverlo è il Corriere dello Sport.