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Simeone: “I napoletani mi hanno perdonato, Spalletti un maestro”

Simeone

A tutto Cholito: “Volevo sentirmi parte di Napoli, non mi ci è voluto molto”

Giovanni Simeone si è raccontato in una lunga intervista al quotidiano spagnolo AS: “Io campione d’Italia? Ogni giorno realizzo qualcosa di nuovo che mi insegna quanto è stato bello tutto. L’altro giorno, per esempio, sono stato a Sorrento e c’era una strada con decine di striscioni che mostravano i risultati di tutte le nostre partite. La tripletta contro il Napoli nel 2018? Segnare tre gol contro una squadra così importante è stato speciale. Ovviamente quando sono arrivato qui tutti me lo ricordavano e lo fanno ancora. Ora aggiungono: “sei perdonato”. Mi hanno cercato diversi club importanti, ma appena è uscito il Napoli non ho pensato ad altro. Mi spiegarono che era un’operazione difficile, ma non mi importava”.

“L’impatto con la città? Ho notato subito la differenza rispetto al Nord, qui ti accolgono con amore fin da subito e questo mi ha aiutato molto, siamo molto simili. Inoltre, essendo il primo argentino da tanto tempo, mi hanno sempre dimostrato un affetto speciale. Volevo far parte della città e non ci è voluto molto per farmi sentire così. I miei festeggiamenti a casa da solo? Questo è stato divertente: il giorno dopo essere diventati campioni, eravamo a casa e mia moglie ha detto: “Festeggiamo ancora un po’?” Ovviamente… prendo una bandiera, esco da solo sul terrazzo e la gente dall’altra parte della strada inizia a festeggiare con me. Sono arrivato qui dopo aver fatto 17 gol con il Verona, Giuntoli è stato bravissimo nel chiarirmi tutto. Mi ha detto che se fosse venuto ci sarebbe voluta molta pazienza. Sapevo cosa mi aspettava, sono arrivato qui felicissimo e convinto che avrei avuto le mie possibilità, preparando ogni partita come se dovessi iniziare. Li ho vissuti tutti così e non mi interessava chi giocava o segnava gol, li festeggiavo tutti come se fossero miei”.

Osimhen? A volte sembra che non sia presente, ma ogni volta che gli arriva la palla si inventa qualcosa. È spontaneo, non prepara i movimenti, vengono fuori dal nulla e questo rende la vita molto difficile ai difensori. Sa trovare spazio e calciare con disinvoltura. Ciò che colpisce invece di Kvara è il suo modo di voler affrontare sempre il difensore. Non ha nient’altro per la testa, anche se qualcosa va storto, torna indietro e lo fa di nuovo. Sapevo che aveva qualcosa, ma quando l’ho visto allo scoperto, ho capito che era una bestia come Victor. Ho capito subito che dovevo lavorare sodo e seriamente per poter dare qualcosa di diverso a un gruppo così bello. La prima cosa che ho pensato è che c’erano tanti giocatori che giocavano bene con la palla, con una qualità enorme, ma pochi che attaccavano lo spazio. L’unico era Osimhen e, se non c’era, doveva provare a fare lo stesso, sforzandosi più che poteva. Come abbiamo fatto a dominare in campionato? So che è un cliché, ma prepariamo ogni partita come una finale. Non abbiamo pensato a cosa sarebbe successo dopo, finché non c’è stato un momento in cui ci siamo resi conto che saremmo comunque diventati campioni. Quando? La vittoria contro la Roma a gennaio, quando ho segnato il gol. Mio padre me l’ha anche detto, mi ha mandato un messaggio di notte: “Questo sa di campione”. Mi sono commosso, perché ha fatto lo stesso con l’Argentina quando hanno vinto gli ottavi di finale in Qatar. Il giorno dopo il golo, Maradona jr mi ha scritto un messaggio: “Il mio vecchio ti ha mandato qui”. Lì ho capito perché desideravo così tanto questa maglia”.

“I miei otto gol in 751 minuti? La cosa più difficile è mantenere la concentrazione senza avere continuità. È una cosa che mi ha fatto crescere molto. Il gol contro il Liverpool? La sera prima ero nervoso, poi ho fatto la mia meditazione, mio padre mi ha chiamato, sono andato a dormire e, non so perché, mi sono svegliato felice come un bambino: stavo per realizzare il mio sogno. Ho un video del pomeriggio prima della partita, tutti i compagni dormivano e io non potevo. Saltavo da un letto all’altro come un bambino, cantando la canzone di Maradona. Siamo arrivati allo stadio e il momento dell’inno Champions, con quel famoso grido, non lo dimenticherò mai in vita mia. Osimhen è infortunato, mi chiama il mister e io sono molto rilassato, molto convinto di fare gol. Non so perché… lo sapevo, l’avevo visto mille volte nella mia testa, ed è successo. La cosa più bella è stata vedere la gente il giorno dopo fermarmi per strada piangendo a metà, dicendomi che ce l’avevo fatta. La Champions è stata magica”.

“L’unico neo contro il Milan. Era difficile accettare che non fossi lì, e che nemmeno Victor ci fosse. Ero convinto che la squadra potesse andare ancora oltre. È stato un duro colpo, ma subito dopo abbiamo battuto la Juve a Torino e abbiamo iniziato a giocarci lo scudetto… È stato più di un mese di feste, e manca ancora domenica. Fermarsi per godersi qualcosa che si sta realizzando nel calcio è difficile, ma vincere così presto ci ha permesso di pensare. In queste settimane ho ricordato il mio lavoro da bambino: non sono mai stato un super giocatore, dovevo guadagnarmi ogni passo che facevo. Mi sento migliorato tecnicamente. Al Napoli si fa tutto con la palla e sono migliorato molto nel gioco di squadra, che è al di sopra di ogni singolo. Lo sapevo già, ma qui l’ho vissuto. Spalletti è un maestro di calcio e di vita. Ha parole che ti raggiungono, ti fanno venire voglia di continuare ad ascoltarlo. Ogni giorno abbiamo sessioni video di circa 40 minuti, mi piace ascoltarlo e imparare. Mi piacerebbe fare l’allenatore e mi piacerebbe essere come lui, avere la sua stessa passione. Condivido il suo modo di vedere il calcio ed è per questo che abbiamo fatto quello che abbiamo fatto, abbiamo seguito la sua linea. Ha detto che vuole riposare, stare con la famiglia e la sua decisione va rispettata. Lo amiamo, è stato meraviglioso lavorare con lui e gli auguriamo il meglio. Si merita tutto quello che gli sta accadendo”.

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